Claudio Sacchi, L’equilibrio dell’incoscienza
IL PAESE degli INFINGARDI
Guardando allo stato di avanzamento del nostro cantiere verrebbe da ripetere l’antico adagio triventino: “il filo sta a filo, il piombo sta a piombo e la fabbrica va storta”; anche se in verità nel nostro caso le difficoltà più che riferite all’altezza della costruzione attengono ancora alla solidità delle fondamenta.
Il lento procedere di questa “fabbrica” sta facendo emergere i limiti che evidentemente condizionano l’intero impianto.
Forse di fronte ai silenzi assordanti dei Triventini dovremmo interrogarci sulla bontà della stessa idea progettuale e sul perché non si riesca a condurre un “gioco di squadra”.
Se volessimo compiere un’analisi senza infingimenti, dovremmo essere spietati con noi stessi.
E qualcuno su queste pagine ha già sottolineato – con estrema crudezza - la nostra “endemica debolezza culturale ed intellettuale” e l’atteggiamento “patetico” di coloro che si “sentono sottilmente distinti”.
Non siamo persuasi, però, che questa possa essere una lettura esaustiva.
Certamente coglie un aspetto del problema, ma oltre ad avere il limite della parzialità, potrebbe indurci nella facile tentazione di lasciarci sovrastare dal “tanto è inutile” e quindi renderci in qualche modo appagati dall’aver quantomeno tentato…..
Nel suo “Viaggio per lo Contado di Molise”, edito nel 1788, Francesco Longano, una delle più belle Menti illuminate del Molise del ‘700, così ci descrive:
“L'antica città di Triventi e' situata sopra una eminenza di colle ..... ha un vastissimo territorio........ Il grosso del popolo e' povero, perché infingardo.”
Non sappiamo cosa abbia indotto il nostro illustre corregionale a formulare un giudizio così severo. Certo è che, allora come oggi, il rimanere sempre al di qua dell’agire, genera inevitabilmente un senso di frustrazione, che ha reso e continua a rendere povere ed insoddisfatte intere generazioni.
Salvador Dalì, Orologio molle
Pertanto è necessario rifuggire dall’infingardaggine, che non è solo l’accidia radicale e radicata, ma soprattutto l’incapacità di spendersi per realizzare i propri progetti.
Ciò che conta è che in questo cammino lungo e faticoso ciascuno faccia la propria parte e non si sottragga dal dare quanto è nelle individuali capacità.
Non possiamo continuare a non fare niente con il pretesto che non possiamo fare tutto!
E non importa in quanti saremo. L’importante è che ognuno ripeta: io e non altri. Ora e non domani.
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Pubblicato l'1 Giugno 2010